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Il viraggio delle stampe fotografiche è sempre stato sia un modo per modificare una colorazione poco piacevole (delle stampe all’albumina, ad esempio, si diceva fossero di color formaggio!), sia per migliorare la conservabilità di superfici poco durevoli nel tempo.
Con l’introduzione della gelatina nelle emulsioni fotosensibili all’argento (circa 1890) e con una maggiore attenzione ai trattamenti di fissaggio e di stabilizzazione, il viraggio è divenuto principalmente un metodo per rendere esteticamente più gradevole una stampa (a detta del fotografo) o per imitare altre tecniche quali la kalitipia, la platinotipia, o , più prosaicamente e recentemente, richiamare … “le vecchie stampe all’albumina”.
Il processo consiste nel sostituire, nella stampa, l’argento metallico che costituisce l’immagine con un altro metallo o sale.
Per i viraggi cosiddetti ‘seppia’ il punto è quello di sostituire l’argento con un suo sale: il solfuro d’argento (Ag2S), composto ben conosciuto dalle massaie che se lo ritrovano scuro sull’argenteria lasciata per un certo tempo all’aria.
Si comprende quindi come questo sale sia il risultato di un’ossidazione dell’argento !
Per fare ciò, in tempi accettabili dal provetto fotografo, è necessario operare un’ossidazione ad esempio con K ferricianuro + KBr, (detto bagno di sbianca) che trasforma il metallo in AgBr gialliccio e successivamente trattare questo sale con una soluzione di solfuro (bagno di risviluppo) per ottenere il Ag2S, di un robusto color seppia, insolubile, che si fissa quindi al posto del precedente Ag metallico.
Con i viraggi si sono ottenuti pure una quantità di altre tonalità usando — come sostituente dell’argento — metalli o loro sali, come: di ferro o uranio (per i rossi), di nichel (magenta), d’oro (per rossi, rosati, blu), di selenio (porpora), … |
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